In occasione del 26 Aprile 2025, Giornata Mondiale della Visibilità Lesbica, la rete Medus3 – OsservAzioni sulla Lesbofobia pubblica il terzo Report annuale con i risultati del monitoraggio della lesbofobia in Italia.
Il report è frutto di un progetto collettivo e sinergico fra associazioni (ALFI – Associazione Lesbica Femminista Italiana, Azione Gay e Lesbica Firenze, Lesbiche Bologna, Omphalos LGBTI+, Rete Donne Transfemminista di Arcigay) e singole attiviste che dal 2019 si occupa di osservare il fenomeno della Lesbofobia in Italia, con l’intento di creare consapevolezza e censire gli episodi di discriminazione non portati all’attenzione dei media.
Il Report 2024 di Rete Meduse è stato presentato ufficialmente durante la 4° Conferenza di EL*C – Eurocentralasian Lesbian+ Community, tenutasi dal 23 al 16 aprile 2025 per la prima volta a Roma.
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A quanto si evince dal questionario – somministrato da maggio 2023 a dicembre 2024 – l’80% delle persone ha riferito di aver subìto direttamente episodi di violenza lesbofobica, e il 26% ha dichiarato di averne subiti più di 10 nella propria vita. Tuttavia, nello stesso arco temporale, sono solo 12 i casi di lesbofobia arrivati all’attenzione dei media nazionali o locali.
Questi dati evidenziano con chiarezza il divario drammatico tra la realtà vissuta dalle persone lesbiche in Italia e la rappresentazione mediatica del fenomeno. La lesbofobia è, ancora oggi, un fenomeno sommerso, sistematicamente invisibilizzato, e le sue vittime spesso restano isolate, inascoltate e non riconosciute. L’informazione pubblica, infatti, continua a ignorare o ridurre il fenomeno, privilegiando solo i casi più estremi o sensazionalistici.
La lesbofobia è una forma di violenza strutturale, sistemica e multifattoriale. Non si tratta soltanto di “omofobia”: è l’intersezione tossica di sessismo, misoginia e patriarcato che prende di mira specificamente le soggettività lesbiche o percepite tali, spesso colpite già in età minorile (il 33% delle persone ha subito lesbofobia prima dei 18 anni). Tra le forme più frequenti di violenza emerse nel report ci sono: aggressioni verbali (61%), discriminazione in famiglia (46%), violenza psicologica (44%), invisibilizzazione (34%) e bullismo lesbofobico (27%). Meno del 10% delle persone intervistate ha sporto denuncia alle forze dell’ordine, spesso per sfiducia nel sistema o per esperienze pregresse di victim blaming.
I contesti in cui si manifestano queste violenze sono molteplici: il 31% ha subìto lesbofobia in casa, il 26% in spazi pubblici e il 22% in ambito scolastico o universitario. Le persone che compiono le violenze sono in larga parte membri della famiglia (39%), sconosciutə (33%), amicə o compagnə di scuola (17%), ma anche personale sanitario, forze dell’ordine e, in un caso, un sacerdote.
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Rete Medus3 sottolinea l’urgenza di riconoscere la specificità della lesbofobia e di nominarla esplicitamente. Continuare a utilizzare il termine “omofobia” come ombrello contribuisce a cancellare l’esperienza delle lesbiche e rafforza l’invisibilizzazione sistemica. Come emerge dal report, la parola “lesbica” viene spesso usata nei titoli di giornale in modo offensivo o sensazionalistico, mentre il termine “lesbofobia” è quasi sempre assente, anche nei casi in cui sarebbe corretto utilizzarlo.
In un Paese in cui la legislazione continua a ignorare l’orientamento sessuale e l’identità di genere tra le categorie protette dai crimini d’odio, e in cui le famiglie lesbiche subiscono attacchi e revoche dei diritti genitoriali, è fondamentale far emergere la verità dei vissuti lesbici e saffici, costruire reti di supporto, promuovere educazione affettiva nelle scuole e pretendere rappresentazioni mediatiche corrette e rispettose.
La lesbofobia è reale. Esiste, fa male, isola, uccide. Ma esistono anche la resistenza, la rabbia trasformata in azione politica, la comunità. E Rete Medus3 continuerà a farle brillare.